La lavorazione della posta artigianale salentina

Una delle tradizioni culinarie del territorio pugliese è rappresentata dalla pasta artigianale salentina. Come le massaie del secolo scorso, ancora oggi le mamme mantengono viva la consuetudine di preparare la pasta in casa, soprattutto nei giorni di festa.

Una base in legno e un mattarello sono gli strumenti del mestiere, immancabili all’interno delle cucine di questo meraviglioso territorio. Composta semplicemente da acqua e farina impastate con energici movimenti circolari, la pasta salentina è la protagonista di piatti genuini realizzati con materie prime locali, ed ogni forma conferita alla sfoglia possiede un nome che la contraddistingue.  L’antica ricetta della pasta salentina prevede l’utilizzo della semola di grano duro, ma spesso vengono impiegate anche farine integrali o di orzo.

Tipiche sono le deliziose sagne ’ncannulate, ricavate da un grande disco di pasta, da cui si ritagliano delle strisce di piccolo spessore, arrotolate poi su loro stesse formano dei piccoli vortici.

La pasta maritata, composta da orecchiette e maccheroncini (o cavatelli), è così chiamata perché i due formati impersonificano la donna (l’orecchietta) accompagnata dall’uomo (il maccherone). Le prime sono piccoli dischi di pasta scavati al centro, mentre i minchiareddi (o maccarruni) sono formati da piccoli pezzi di sfoglia arrotolata con il fil di ferro.

Il condimento per eccellenza della tradizionale pasta salentina è la passata di pomodoro fresco con basilico, a cui si aggiunge il formaggio grattuggiato o la ricotta stagionata nota come ricotta scante. Una prelibatezza a cui è difficile rinunciare dopo aver assaporato la prima forchettata.

Un altro formato tipico è la tria, una pasta simile per forma alle tagliatelle (senza l’uovo nell’impasto), che nella tradizione locale si accoppia con i ceci. Il famoso piatto ciciri e tria è reso tale grazie al supremo tocco di gusto conferito dalla parte di pasta fritta nell’olio extravergine d’oliva. Ed è proprio da questo costume che deriva il nome tria, dall’arabo itrya, il cui significato è pasta fritta.

La pasta fatta in casa salentina è uno dei preziosi saperi che la tradizione di questo territorio tramanda di generazione in generazione. Un’arte del passato per la quale nonne e mamme si prodigano ancora con molta cura: dall’attenzione per l’impasto alla precisione delle forme, dalla giusta cottura alla preparazione del condimento.

Golosità, freschezza, economia: le tre parole chiave che da sempre contraddistinguono la cucina tipica del Salento per la bontà inconfondibile dei suoi piatti, gli ingredienti salutari e per il costo irrisorio della materia prima.

Conosciuta ormai in tutto il mondo, la pasta salentina è diventata il leitmotiv di tanti corsi di cucina in cui vengono insegnate le tecniche di preparazione delle varie tipologie.

Tali attività sono molto diffuse nelle Masserie, le grandi dimore storiche del Salento, all’interno delle quali vengono organizzate lezioni destinate a turisti e appassionati di cucina. Intere giornate di formazione dedicate ai laboratori, durante i quali grandi intenditori di quest’antica arte si adoperano a tramandare non solo conoscenze pratiche e tecniche sulla realizzazione della pasta e delle rispettive ricette, ma anche informazioni riguardo ai vari tipi di alimenti e le loro proprietà naturali.

La pasta nella storia

Quando è stata inventata la pasta? Per trovare una risposta dobbiamo viaggiare indietro nel tempo di molti secoli, fino ad arrivare intorno al 200 a.C. nell’antica Roma, periodo a cui risale la principale fonte storica sulla cucina italiana, ad opera di Marco Gavio Apicio, gastronomo dell’epoca, il quale nel suo De re coquinaria, scrive sulla conservazione dei cibi e sulla pasta dalla robusta consistenza.

Tuttavia, arrivano nel Medioevo le più rilevanti scoperte che ci hanno portato ad ottenere la pasta che oggi ben tutti conosciamo: l’invenzione del sistema della bollitura e di nuovi formati, come le prime paste forate (penne, rigatoni, bucatini) e quelle ripiene (ravioli, tortellini, agnolotti), la pasta fresca all’uovo e la prima realizzazione della pasta secca a lunga conservazione, storicamente attribuita ai siciliani. Sempre in quest’epoca aprono le prime botteghe italiane di preparazione della pasta e a metà del XIII secolo nascono i grandi pastifici.

Anche celebri autori della letteratura italiana menzionano nelle loro opere quello che pian piano sta diventando l’alimento più diffuso nella società italiana. Nel XIV secolo nel famoso Decameron, Giovanni Boccaccio cita la pasta come simbolo di abbondanza alimentare. […]una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva […](G.Boccaccio Decameron VIII 3).

Nel corso di oltre due millenni, quell’atmosfera gioiosa venuta a crearsi intorno a un piatto di pasta è diventata, nell’immaginario collettivo di tutta Europa, l’emblema tipico dell’essere italiano. Ciò trova riscontro in numerosi capolavori di fama internazionale nati sia nella letteratura che nella musica, nell’opera, nel teatro e nel cinema.

Lungo la storia di quest’ultimo, ad esempio, un bel piatto di spaghetti o maccheroni si ritrova in numerosi film come elemento distintivo dell’essere italiano, con cui tratteggiare efficacemente personaggi e scene tipicamente nazionali.

Negli anni ‘50, periodo di ripresa economica, gli spaghetti, detti anche “pastasciutta”, diventano icona della gioia di vivere. A tal proposito, la prima immagine che torna alla mente è quella in “Miseria e nobiltà” del 1954 in cui Totò in piedi sul tavolo, famelicamente mangia spaghetti, cercando di nasconderne il più possibile in tasca. O la scena con Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e Tiberio Murgia, in “Soliti Ignoti” (1958): la banda mangia pasta e ceci per consolarsi dopo il fallimento del piano progettato per un furto.

Concludiamo con un romantico omaggio alla pasta, proveniente dall’oltreoceano, uno dei più bei film d’animazione statunitense, “Lilli e il vagabondo”: i due cagnolini si innamorano davanti a un gustoso piatto di spaghetti al pomodoro, servito da un cuoco italiano.

Corta, spezzata, lunga, a tubetti, a conchiglie, a semi, a farfalle… di semola, all’uovo, integrale, fresca di grano duro… la pasta, è considerata oltre che un alimento, un elemento di unione nazionale, parte integrante della cultura ed identità popolare, uno dei simboli dell’italianità in tutto il mondo. Oggi è possibile ripercorrere i suoi ultimi otto secoli di storia all’interno del “Museo della pasta” a Roma, in cui scoprire i diversi strumenti utilizzati per la produzione, le opere d’arte dedicate e diverse informazioni nutrizionali.

La pasta ripiena: specialità gastronomica italiana

La pasta ripiena rappresenta una specialità tipica della tradizione gastronomica italiana, apprezzata e richiesta anche all’estero. Le combinazioni tra i diversi formati di sfoglia ed i ripieni sono innumerevoli, gustosi accostamenti che variano da regione a regione, ognuna custode di storiche ricette.

Cappelletti, ravioli, agnolotti: la pasta ripiena è una delle massime espressioni della creatività della cucina nazionale, la quale racchiude in sé tutto il sapore della tradizione, il profumo dei ricordi, la bellezza delle forme.

Solitamente si parte da un ingrediente di base, semplice e genuino, al quale se ne aggiungono i più disparati: la carne per i famosi tortellini, verdure e formaggi nella pasta ripiena con ricotta e spinaci o la polpa di pesce nei ravioli.

Composti spesso da alimenti di stagione, come radicchio e zucca durante il periodo invernale ad esempio, o da ingredienti ricercati in base all’estro dello chef, come spigola e bottarga, o anatra, robiola e pinoli, i ripieni risultano essere sempre un qualcosa di speciale da scoprire.

Ravioli all’aragosta, tortelloni con ricotta, zucchina e menta, agnolotti con anatra e fagiano conferiscono al piatto un sapore unico. Per stupire ancora con qualcosa di originale gli ospiti dei pranzi domenicali o i clienti di un ristorante, si possono realizzare dei fagottini con porcini e carciofi, fazzoletti di gamberi e tartufo, cappellacci al nero di seppia o agli asparagi.

Ma come si fa a preparare la giusta farcitura? Il ripieno perfetto è semplicemente quello che manda in estasi nel momento in cui si addenta per la prima volta il raviolo o tortello. (affonda il primo morso nel tortello o raviolo). Una regola fondamentale da seguire per non veder fallire miseramente la magnifica opera ripiena, è quella di regolare l’umidità del composto. La sfoglia bagnata da un impasto troppo umido rischierebbe di aprirsi irreparabilmente e, al contrario, un ripieno troppo asciutto risulterebbe sgradevole al palato.

Per questo motivo si aggiungono pane, uova, ricotta o formaggio, sostanze che hanno la funzione di agglomerare gli ingredienti rendendoli omogenei e asciutti al punto giusto. Tuttavia il rischio di un appiattimento dei sapori è molto alto, pertanto bisogna prestare estrema attenzione al dosaggio dei vari componenti.

Inoltre un errore da non commettere durante la preparazione del piatto è quello di utilizzare condimenti dal gusto troppo incisivo. La pasta è la protagonista principale e se l’accostiamo, ad esempio, ad un sugo dal carattere aggressivo, la gustosità di questa passerebbe in secondo piano.

Sono da preferire toni leggeri che esaltino il ripieno, come burri aromatizzati alle erbe, granelle di frutta secca e salse capaci di creare una sinergia perfetta tra la pasta ed il suo contenuto.

Ogni regione, paese, famiglia resta fedele alla propria ricetta, la quale racconta di aromi lontani nel tempo, di piatti nati in epoche di estrema povertà mediante l’utilizzo di alimenti disponibili in casa, provenienti dal lavoro nei campi.

La pasta ripiena è per eccellenza il primo piatto delle occasioni speciali, delle ricorrenze e delle feste. Un cuore di inebriante sapore racchiuso da una sottile sfoglia, questa specialità è parte integrante della storia culinaria del nostro paese e di ognuno di noi, alla quale non si può rinunciare per nulla al mondo.

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